Nel giro di cinque anni, l’intensità dei conflitti nel mondo è raddoppiata: ormai, oltre un miliardo di persone – un abitante su otto del pianeta – vive in zone dilaniate dalla guerra. Anche all’interno dei singoli Stati si è registrato un incremento della violenza politica del 25 per cento. I dati, presentati dalla Armed conflict location and event data (Acled), tra le fonti più accreditate per lo studio dei fenomeni bellici, rilanciano un interrogativo cruciale: è possibile vivere insieme? C’è ancora spazio per il “noi” nella post-modernità dei tanti “io” atomizzati?
In questa temperie globale, la seconda Assemblea del Cammino sinodale delle Chiesa in Italia ha acceso una piccola luce di speranza.
Dopo decenni di coabitazione forzata di differenze non-comunicanti, la fatica della relazione con l’alterità, di qualunque tipo, sembra essere diventata insopportabile. Per farvi fronte, leader nazionali e internazionali propongono di eliminare il “problema”. L’assimilazione o la rimozione appaiono le uniche opzioni disponibili. La politica del muro – fisico, legale, culturale – è la premessa della guerra dilagante. In questo “tempo di mostri” – nel significato latino di accadimenti straordinari, in positivo e negativo ‒, in seno alla Chiesa nasce una proposta controcorrente.
La “sinodalità”, intuizione profetica di papa Franceso nel solco del Concilio, non è solo «il cammino che Dio si aspetta» dalle comunità cristiane nel terzo millennio. È testimonianza per l’umanità intera di un modo autenticamente nonviolento di abitare il presente. Traslato in chiave geopolitica, sinodo, come ha sottolineato il Pontefice, significa l’impegno a costruire la pace attraverso «processi di ascolto, dialogo e riconciliazione».
Le sue parole hanno trovato un’incarnazione imprevista nell’Assemblea sinodale appena conclusa. Chi vi ha partecipato, ha sperimentato, in concreto, come il conflitto, la tensione, la dialettica, vissuti nella franchezza e nel rispetto, possano generare nuove e più solide forme di comunione, umana ed ecclesiale. Una sintesi capace di contenere le diversità invece di annientarle.
Di fronte alla critica delle “Proposizioni” presentate da parte dell’Assemblea, i vescovi italiani – che di quest’ultima sono parte insieme all’intero Popolo di Dio – non hanno tirato dritto, forzato la mano, imposto o subìto una decisione “a colpi” di maggioranza e minoranze. Al contrario, si sono messi in discussione. Si sono interrogati e hanno cercato di discernere se in quel disappunto – espresso, per altro, con molta passione e poca acrimonia – si celasse la presenza e l’azione dello Spirito.
Da lì è nata la scelta inedita – un balzo più che un passo avanti – di un ripensamento globale del testo in modo da riuscire a rendere la ricchezza di quattro anni di lavoro. Per farlo, non hanno avuto timore di cambiare programma e programmi, auto-cancellando la tradizionale riunione di maggio della Conferenza episcopale, rinviata a novembre. E sottoponendo una mozione – approvata quasi all’unanimità – per la convocazione di una terza Assemblea sinodale, in programma il 25 ottobre.
Il doppio applauso – durante e al termine – per l’intervento del presidente del Cammino sinodale, Erio Castellucci, e i ringraziamenti commossi al cardinale Matteo Zuppi, presidente della Cei, non sono stati la manifestazione di un’emozione estemporanea ma della consapevolezza di avere fatto un’esperienza di crescita spirituale. Insieme.
Qualcuno ha voluto leggere quanto accaduto nell’Aula Paolo VI come un segno di debolezza, di divisione, di confusione. Un cedimento facile alle mode del momento. Semmai è vero il contrario. Il contesto attuale è dominato da leader soli al comando, determinati a esercitare il mandato ricevuto come l’autorizzazione a oltrepassare ogni limite. Sempre pronti a invocare la volontà popolare per schiacciare minoranze e, a volte, maggioranze, scomode. Per delegittimare, dentro e fuori i social le opinioni “non conformi”. All’infatuazione mondiale e mondana per il “potere muscolare”, l’Assemblea sinodale ha preferito l’autorità. Nel cammino che s’apre camminando, chi guida, procede, a volte, davanti, altre in mezzo o dietro in modo da non perdere nessuno di quanti gli sono stati affidati.
Lucia Capuzzi è inviata della redazione Esteri del quotidiano Avvenire e membro del Comitato Nazionale del Cammino sinodale.
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